Buoni pasto: cosa c’è da sapere

da | 28 Mar 2023 | Ristorazione

Molte aziende mettono a disposizione dei propri dipendenti i buoni pasto come strumento versatile e immediato per gestire come meglio si crede la pausa pranzo in caso di mancanza di una mensa aziendale.

Rappresentano indubbi vantaggi sia per i lavoratori sia per la stessa azienda, ma c’è da sottolineare come non tutti ne hanno diritto.

 

Che cosa sono i buoni pasto

Le aziende preferiscono utilizzare i buoni pasto per offrire ai propri dipendenti una valida alternativa alla classica mensa aziendale.

Tuttavia, con il passare del tempo, questo strumento si è dimostrato un vero e proprio ammortizzatore sociale, diventato utile per le famiglie e anche per i liberi professionisti per arrotondare lo stipendio.

Le normative prevedono che, però, non possano essere utilizzati in qualsiasi caso, per cui cerchiamo di stabilire i buoni pasto a chi spettano.

La normativa di riferimento è il Decreto Ministeriale n° 120 del 7 giugno 2017, e per la precisione si fa riferimento all’articolo 4. Si chiarisce che tale strumento può essere messo a disposizione dei lavoratori titolari di un rapporto di lavoro subordinato e a quanti hanno stabilito un rapporto di collaborazione non per forza subordinato.

Nella stessa normativa, e in particolare nell’articolo 51, viene sottolineato come questi buoni non concorrano alla formazione del reddito ai fini fiscali, a patto che non venga superato l’importo complessivo giornaliero di euro 4, che diventano di 8 euro se messi a disposizione in forma elettronica.

Tra l’altro, il datore di lavoro ha piena facoltà di scegliere le modalità con cui assegnare i buoni pasto tra la versione cartacea e quella digitale.

 

Quali lavoratori ne hanno diritto

I buoni pasto possono essere utilizzati anche per altre situazioni, e in particolare per i lavoratori in stage e contratti di apprendistato.

La situazione è abbastanza simile a quella dei lavoratori che hanno un rapporto di lavoro subordinato per quanto concerne l’apprendistato, poiché le somme riconosciute sotto forma di buoni pasto non concorrono alla formazione del reddito.

Invece, quando si procede con il tirocinio e le somme vengono proposte dall’azienda in buoni pasto, esse costituiscono redditi assimilati al lavoro dipendente secondo quanto stabilito dall’articolo 50, comma 1 del TUIR. Dunque, soprattutto per i più giovani, questo strumento consente di mettere da parte qualche euro.

Infatti, i giovani spesso e volentieri sacrificano il pranzo pur di imparare quanto più possibile. Questo è fondamentale perché per queste due categorie di lavoratori è normale che non ci sia un reddito elevato, e quindi l’importo recuperato con i buoni pasto è certamente utile per andare avanti in attesa di un contratto migliore.

Le casistiche, però, non finiscono qui, perché ci sono i lavoratori part time. Contrariamente a quanto si possa pensare, l’assegnazione dei buoni pasto non è correlata allo svolgimento dell’attività lavorativa. In pratica, se un lavoratore part time ha un contratto che, per durata giornaliera, in termini di ore non prevede neppure l’opportunità di mangiare in azienda, comunque può ricevere dal datore di lavoro i buoni pasto e utilizzarli come meglio crede e senza che contribuiscano alla formazione del reddito.

Infine, anche i lavoratori che operano in modalità Smart Working hanno diritto ai buoni pasto. Un’azienda che riconosce questa opportunità per i propri dipendenti offre fidelizzazione e contribuisce alla crescita dell’economia locale, perché il lavoratore dovrà uscire fuori di casa e utilizzare il buono presso alcuni locali presenti in zona.

Invece, non si ha diritto ad ottenere i buoni pasto quando un lavoratore è in aspettativa, è in ferie e quando ha richiesto un permesso che dura per tutta la giornata. Altra situazione in cui non viene concessa l’agevolazione riguarda il periodo in cui si è in cassa integrazione e nelle giornate di sciopero.

 

In conclusione

I buoni pasto sono uno strumento che permette di ovviare all’assenza di una mensa dell’azienda.

I lavoratori ne hanno sempre diritto a prescindere dal loro inquadramento, ma soltanto nei giorni in cui effettivamente lavorano, per cui, come anticipato, non saranno riconosciuti durante i giorni di malattie, le ferie, la cassa integrazione e il periodo di aspettativa.